a cura di Davide Di Cecca e Manuel Maximilian Riolo
Fra i tanti videogiochi che attualmente è possibile trovare in commercio, Life is strange è una creatura che raramente si incontra, tanto dirompente e particolare da spezzare la critica e contestualmente così complessa da costringere inevitabilmente ad una analisi. Sviluppato dai ragazzi francesi della Dontnod per conto di Square Enix, il gioco si presenta come una sorta di avventura interattiva, dove le varie scelte prese dal giocatore vanno a influenzare tutto il quadro narrativo passato, presente e futuro. Inutile dire che quello che vi apprestate a leggere non è una recensione di questo splendido titolo, ne potete trovare a decine nel vasto mare dell’internet.
In questo editoriale vogliamo invece porre l’attenzione sull’opera in sé, sulla sua intima essenza, sui temi particolari che affronta, ed in generale su tutto ciò ci ha lasciato/insegnato. Quello che qui viene offerto è un tentativo, da parte di due giocatori che hanno amato quest’opera (l’articolo è stato scritto a quattro mani), di esporre delle prospettive sulla succinta opera. Un primo approccio si dedicherà ad offrire un’analisi che, pur lontana dall’essere una recensione metodica, tenta di mostrare sommariamente tutto, o almeno buona parte, di ciò che il titolo ha da offrire al giocatore. Capitolo per capitolo verranno analizzate le affordance concettuali proposte da Dontnod, le varie letture e, soprattutto, ciò che il fruitore videoludico può esperire e sentire approcciandosi a questo gioco. Il secondo approccio, più che un’analisi, si configura invece come un flusso di coscienza: un breve ma colmo processo di esternazione di un esperienza personale ed idiosincratica, un racconto incentrato sull’amore. È inutile sottolineare che l’articolo sprizza SPOILER da tutti i pori.
PARTE PRIMA
Un battito d’ali blu
C’è un qualcosa di malinconico e speranzoso allo stesso tempo che permea il gioco, sin dal menu introduttivo, con un dolcissimo main theme strumentale che già riesce a metterci a nostro agio. Un incipt violento (una sorta di distruttiva visione in cui si capisce poco e niente), e poi il brusco ritorno alla vita reale, dove cominciamo a familiarizzare con i comandi ed il background narrativo. Impersoneremo Maxine Caulfield, una ragazzina insicura, timida, molto curiosa, anche complessata per certi punti di vista (chi non rivede un proprio sé adolescente in lei alzi la mano), e guideremo le sue azioni per tutto il corso di gioco, inizialmente all’interno della prestigiosa Blackwell Academy, dove faremo la conoscenza di alcuni personaggi forse un po’ troppo stereotipati, ma che nel complesso contribuiscono a inserirci nel contesto generale. Cominciano a esserci i primi momenti di sceneggiatura a dir poco acuti, come il fatto che il prof. Jefferson in un dialogo iniziale che può sembrare assolutamente banale e di poca importanza, rivela il modo in cui uccide e tortura le sue vittime. Sprazzi di genialità come questo saranno molto comuni, spesso confondendo e illudendo il giocatore su alcuni personaggi/eventi, ed è forse proprio questo costante alone di mistero sugli eventi della trama che spinge il giocatore ad andare avanti, a voler scoprire cosa c’è dietro tutto. Nel primo episodio inoltre, avviene un fatto chiave che cambia letteralmente la storia: mentre siamo nel bagno della scuola, entra in scena Chloe, la nostra ex migliore amica che non vedevamo da anni, e che viene assassinata davanti ai nostri occhi da Nathan Prescott, inizialmente presentatoci come il classico bulletto (ma che in realtà poi si rivelerà essere in un certo senso una “vittima” del meccanismo messo in moto da Jefferson).
Ma, proprio in quell’istante, osserviamo una farfalla blu svolazzarci sopra la testa: ed è proprio in quel momento che per volere di qualcuno (o di qualcosa?) Max ottiene la capacità di riavvolgere il tempo a breve distanza, e si trasforma da anonima ragazzina paurosa di tutto in una sorta di “eroina”, in grado di cambiare (apparentemente) in meglio il destino degli eventi e delle persone che la circondano. Questo può essere riassunto come Effetto farfalla, di cui parleremo nei paragrafi più avanti e che attinge propriamente da teorie già esistenti in campo scientifico. Life Is Strange in questo senso e come vediamo durante il propagarsi dell’avventura stessa è molto citazionista, e riprende spesso anche titoli di film o altre opere realmente esistenti.
L’eroina di tutti i giorni che è in ognuno di noi
L’episodio 2 è incentrato per larga parte sul rapporto che pian piano si va recuperando tra Max e Chloe: dopo anni e anni di lontananza fisico-emotiva tuttavia, entrambe scoprono che davvero poco è cambiato tra di loro. Certamente sono diventate più adulte, consapevoli, ma non hanno dimenticato il legame che le unisce, che va oltre ogni distanza, ed il fatto che la prima persona a cui Max rivela il suo assurdo segreto (poter riavvolgere il tempo) sia proprio Chloe, è indicativo di quanto ella ci tenga ancora alla sua migliore amica, di come i sentimenti non siano cambiati nonostante lo scorrere del tempo, e questa è un’immagine bellissima. Life Is Strange inoltre è incentrato molto sul tema della fotografia, sul fatto che le foto abbiano come l’effetto di immortalare per sempre minuscoli frammenti di tempo, e il riguardare questi ricordi ci può facilmente portare a provare un forte senso di nostalgia. Spesso nella nostra vita infatti possiamo vedere come il corso del tempo corroda e cambi ogni cosa che conosciamo: difficilmente qualcosa resta come vorremmo, data la natura estremamente cangiante dell’essere umano. In seconda analisi, tutti, anche la persona più sola e distaccata, ha un intimo bisogno di qualcuno al suo fianco, e anzi, chi lo nega, è una persona ancora più bisognosa di quell’affetto che scioccamente rifugge.
Tutto ciò ci porta alla ricerca costante di una persona “diversa”, che ci riesca parzialmente a capire rispetto agli altri, e che riveste nella nostra vita un ruolo di spicco: il/la migliore amico/a. Un’etichetta forse un po’ scomoda da capire e interpretare, poiché al giorno d’oggi si tende subito a identificare il prossimo come migliore amico/a, ma tuttavia dietro questa classificazione ci dovrebbe essere un tessuto emotivo molto più ampio, una retrospettiva che parte da un unione “senza tempo”, e che è fondata su un rapporto temprato da esperienze ambivalenti. Le 2 ragazze sono difatti cresciute insieme, sono maturate e hanno visto i propri cambiamenti costruendo pezzo dopo pezzo un amicizia basata sulla fiducia intima e sul rispetto delle proprie divergenze. Dall’iconica immagine in cui entrambe camminano tenendosi per mano sui binari si intravede in pratica la metafora della loro amicizia, un valore che concorre in misura rilevante al perseguimento della felicità personale. Chloe e Max sono praticamente l’una l’antitesi dell’altra, ma è proprio per questo forse che si sentono così legate e speciali, così magnificamente felici insieme.
Si può dire difatti che l’amicizia sia anche essa una forma d’amore, bisognosa come una giovane piantina, di essere annaffiata costantemente per produrre i suoi frutti, sebbene investire così tanto su una singola persona può essere una pericolosissima arma a doppio taglio. Nel secondo episodio tuttavia Chloe non è la sola persona con cui ci relazioniamo intensamente: pensiamo al semprenerd Warren, all’acida Victoria, o alla triste Kate, che viene presa di mira dai bulli della Blackwell. Tematiche e problemi adolescenziali, tipiche dei licei, in cui probabilmente tutti ci siamo ritrovati o ci ritroviamo, a cui viene aggiunta una tematica molto complessa e delicata, quale quella del suicidio. Cosa spinge Kate a suicidarsi davvero? Ella crede di liberarsi davvero dal dolore?
«Chi è oppresso dal peso della vita, chi vorrebbe e afferma la vita, ma ne aborre i tormenti, e soprattutto non riesce a tollerare più a lungo il duro destino, che proprio a lui è capitato: questi non deve sperare una liberazione dalla morte, e non può salvarsi col suicidio; solo con un falso miraggio lo attrae l’oscuro, freddo Orco, come porto di quiete. La terra si volge dal giorno verso la notte; l’individuo muore; ma il sole arde senza interruzione in eterno meriggio. Alla volontà di vivere è assicurata la vita: la forma della vita è un presente senza fine; non importa che nascano e periscano nel tempo gli individui, fenomeni dell’idea, simili a sogni fugaci. Il suicidio ci appare già da questo come un’azione inutile e quindi stolta: quando saremo proceduti più oltre nella nostra indagine, ci si presenterà in una luce ancor più sfavorevole».
(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I, 54)
Parafrasando il noto filosofo tedesco Schopenhauer, mettere fine alla propria vita suicidandosi equivale, in un certo senso, ad affermare in extremis la propria volontà di vita, piuttosto che a negarla estinguendola. Non ci si suicida “contro la vita”, ma perché di essa si è insoddisfatti, e ciò rappresenta dunque una fallace liberazione dal dolore. E ancora, “il sole continua comunque ad illuminare il mondo: che importa un individuo in più o in meno? La volontà di vita ha come obiettivo la sopravvivenza della specie.” Capiamo dunque come la volontà di vivere non venga annullata dall’eliminazione di un singolo individuo, e difatti essa continua a prosperare nella specie. Da questo punto di vista, sembra quasi che Kate in realtà si senta “costretta” a saltare giù dal tetto, e questo è da appurarsi a diverse cause che la riguardano (il cyber-bullismo feroce, la rinnegazione da parte dei suoi parenti, il menefreghismo della madre, ecc.). Kate ha paura di morire, e non lo nega, ma preferisce sopportare quel tipo di dolore, al posto del malessere che sembra circondare la sua esistenza, anche se questo ragionamento è fondamentalmente sbagliato, in quanto il suicidio è “una soluzione definitiva a problemi temporanei”.
Inoltre si tratta di una sequenza in cui il giocatore non può tornare indietro, per cui ogni scelta di dialogo va ben ponderata per evitare la più tragica delle conclusioni. In definitiva comunque, solo la vicinanza e la presenza di Max riescono a salvare Kate, e in caso non fossimo stati molto attenti durante le fasi di esplorazione, l’esito infelice incomberà come un macigno, a sottolinearci quanto in realtà il nostro potere possa rivelarsi fragile ed inconcludente.
Time to change time
Vi è da segnalare a questo punto, una certa piega filosofica che il gioco prende circa da metà storia. Al giocatore inizialmente viene data infatti una sensazione di libertà assoluta ed egli viene messo costantemente a suo agio, poiché si comincia con delle bazzecole, dove se modifichi di qualche secondo il tempo al massimo eviti un po’ d’acqua o una palla in testa a qualcuno, e ciò ti fa abituare al concetto che modificare il tempo sia in fin dei conti un “gioco”, una quisquilia. Questo fino a quando non si arriva al finale del terzo episodio, dove vediamo Chloe in sedia a rotelle dopo essere riusciti a salvare il padre William in un’altra realtà. Ciò sta significare che modificare il tempo è potenzialmente devastante, e di fatto cambiare il corso di tutti gli eventi che vanno scaturendosi nel futuro, questo sia secondo l’effetto farfalla (assunto secondo il quale «Il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può provocare una tromba d’aria nel Texas».), sia secondo la correlata teoria del caos e le ipotesi dei wormhole/buchi bianchi. C’è da dire che qui si sconfina dalla scienza classica, in quanto non c’è niente di effettivamente dimostrabile a livello empirico.
Con “caos” inoltre non intendiamo propriamente “disordine”: il caos indica più che altro un ordine così complesso da non riuscire a essere comprensibile dall’uomo, e la Teoria del Caos si basa quindi propriamente su un determinato ordine, una sequenza ben definita ma così piena di variabili da risultare imprevedibile. Il termine “worm-hole” invece significa letteralmente “buco di verme”. Questo nominativo è stato coniato per indicare i tunnel spaziotemporali che (sempre teoricamente) potrebbero collegare due buchi neri: tali tunnel sarebbero creati dall’immensa forza gravitazionale dei buchi neri, e al loro interno lo spazio e il tempo (concetti strettamente correlati) sarebbero molto diversi da come li conosciamo, quindi essi potrebbero essere considerati alla stregua di una macchina del tempo cosmica. I ragazzi di Dontnod hanno fatto largo uso di questi postulati e ne hanno dato una loro interpretazione, ma sempre inserendo il tutto in contesto assolutamente “verosimile”.
Tornando al discorso di prima, non è possibile pensare di aggiustare un fattaccio in maniera semplice, e credere che il resto del mondo non abbia anch’esso dei risvolti negativi. Se succede qualcosa di tremendo, come la morte di un genitore, è anche vero che tu, attraverso quell’esperienza divieni la persona forte (o fragile) che sei attualmente. Rimuovendo quel dolore dalla tua vita, vai logicamente a eliminare tutta una serie di presupposti che a loro volta si legheranno tra loro come una ragnatela in una fitta interconnessione di casualità e variabili: non sarai quindi più forte, probabilmente avrai più difficoltà ad affrontare la vita e sarai più impreparato, oppure sarai talmente fragile da voler farla finita. Infinite possibilità che ci suggeriscono dunque che anche il minimo cambiamento non è cosa da sottovalutare; non sai cosa va a toccare, non sai se quell’universo parallelo sia effettivamente meglio di quel che vivi, e questo dà adito ad una moltitudini di riflessioni morali e specificamente come in questo caso: meglio far morire William o vedere Chloe immobilizzata? Cosa è meglio scegliere? Per chi? O ancora, un altro esempio, è il fidanzamento di Warren con Stella, che quindi “chiude” una strada che prima invece era un aiuto concreto alla protagonista. Hai salvato una vita, e, facendolo, hai modificato il corso degli eventi trovando un mondo parallelo che non è migliore, è solo diverso.
Il tema della scelta è sicuramente uno dei leitmotiv dell’opera, e inoltre ci fa capire che non esistono scelte giuste o sbagliate in Life Is Strange: ogni decisione è a discrezione del giocatore, ma ovviamente dobbiamo poi prendercene le dovute responsabilità.
Il peso delle scelte
Nel quarto episodio una Chloe molto diversa da quella che conosciamo ci chiede di porre fine alla sua sofferenza e alla sua vita con un overdose di morfina, e qui si aprono ulteriori riflessioni, soprattutto in merito all’eutanasia. Una scelta molto complessa dal punto di vista etico/morale: da una parte può essere considerato come un atto prettamente egoistico, in quanto Chloe non vuole più soffrire, ma contemporaneamente tralascia il fatto che i suoi genitori e tutte le persone che gli vogliono bene soffrirebbero tantissimo di una sua dipartita. Paradossalmente però, può anche essere considerato come un gesto di altruistico di estremo amore.
Chloe non poteva più scegliere nulla nella sua vita, le aspettava un esistenza di stenti e sofferenze, senza più alcuna possibilità di vivere “davvero”, e quindi l’unica scelta che poteva prendere a questo punto riguardava il suo continuare a vivere o meno. È sicuramente terribile come sensazione, poiché magari potrebbe trattarsi proprio della persona che si ama e perciò sarebbe un atto di estremo coraggio e forza d’animo, ma anche un azione che dovrebbe fare solo una persona vicina, anche se in realtà più della metà dei giocatori (52%) di Life Is Strange ha scelto di uccidere deliberatamente Chloe.
Forse però, solo un/una migliore amico /a riuscirebbe a comprendere e a compiere un gesto di tale portata, essendo distaccato/a dalla situazione familiare, ma comunque profondamente legato alla persona che vuole porre fine alla sua vita. L’eutanasia, in un modo o nell’altro, resta un atto di somma difficoltà e di costante diatriba nella nostra attualità: la persona che sta morendo non ha più niente da perdere mentre le persone vicine hanno molto da perdere, per cui in definitiva non c’è una decisione giusta ed una sbagliata. La possibilità di togliere una vita, non è mai un compito che si può gestire senza affrontarlo con un immane difficoltà, che deriva anche dal peso e dalla responsabilità di avere tra le mani la vita di una persona. Secondariamente, trattandosi di un videogioco, l’immedesimazione e l’empatia nel momento della scelta è davvero elevatissima (a differenza per esempio di un film dove vedremmo il punto di vista del regista, senza poter interagire in alcuna maniera).
Ciò ci fa sentire davvero dentro quella situazione ed è per questo che moltissimi utenti nel fare questa scelta ci hanno riflettuto anche parecchi minuti. Un’altra tematica è la possibile disgregazione dell’Io nelle varie realtà alternative. Nell’universo della Chloe alternativa, Max si ritrova addirittura amica di Nathan e Victoria, oltre che essere immischiata nel Vortex Club. Questo sta esattamente a significare che i personaggi (nel gioco) parallelamente agli individui realmente esistenti (nel mondo) possono avere molte facce. Se ci pensiamo un attimo infatti, già l’identificarsi in un determinato gruppo sociale vi permette di conoscere alcune persone e ve ne esclude automaticamente altre. Ipoteticamente, può sembrare verosimile essere amici di chiunque in differenti contesti sociali, oppure no?
Insomma, in questo caso la tematica è un po’ il pregiudizio e l’abitudine nel comportamento che oscurano la verità. Probabilmente tutti siamo quello che siamo poiché in passato ci è successo qualcosa che ci ha fatti crescere in un determinato modo: Max in questa realtà alternativa ha un carattere molto più espansivo e menefreghista, quindi non c’è niente di bizzarro a vederla in giro col Vortex Club e compagnia cantante. In effetti, la sua voglia di fare amicizia con gli altri è la stessa, è solo il suo modo di approcciarsi che è diverso. Nella timeline originale, Max ci viene presentata come una personalità timida e silenziosa, e di solito chi si comporta così attira più le antipatie degli altri, soprattutto quelli che tendono ad approfittarsi di chi è insicuro. Pensiamo anche al fatto (come già accennato prima) che con Warren in questa realtà ella non ha instaurato alcun tipo di rapporto, e che anzi il ragazzo è finito fidanzato con Stella. David ha trovato lavoro come autista (e sembrava anche piuttosto afflitto) perché non si è mai ripreso dal suo trauma (cosa che avviene invece grazie a Joyce), o ancora, Jefferson forse non avrebbe avuto la sua inquietante fissazione per Max.
In quella realtà se avete notato, tutti i membri del Vortex sono molto più gentili e meno aggressivi che nella realtà normale, vestono tutti di bianco ed altri colori candidi, sono praticamente l’opposto di quello che conosciamo e che ci aspetteremmo da loro. Gli stessi Nathan e Victoria rivelano un lato positivo nascosto (!), tempestando di messaggi affettuosi Max, e ovviamente anche Chloe in questa realtà mostra lati della sua personalità che persino Max non conosceva. Tutti i personaggi presenti sono le stesse persone che ci sono in tutte le realtà, semplicemente gli eventi li han portati a far emergere determinati lati piuttosto che altri, e questo sempre collegandosi alla Teoria del Caos citata in precedenza. Attenzione però, ciò non significa (e lo sottolineo), che questi aspetti nascosti non siano presenti anche nella realtà “normale” che eravamo abituati a conoscere.
Se ci pensiamo bene, anche Victoria lascia presumere che lei e Max potrebbero diventare amiche durante il dialogo al Vortex Club (se si risponde “bene”, tramite alcune scelte di dialogo ben mirate). Altri istanti memorabili di questo episodio sono il ritrovamento di Rachel Amber nella discarica, un momento particolarmente drammatico ed emozionale, condito da una soundtrack e una prestazione vocale delle doppiatrici a dir poco superba. La genialità dei Dontnod sta anche in questo: farci affezionare a un personaggio (Rachel Amber) che praticamente non esiste, che in realtà non vediamo mai, nemmeno in flashback o altre realtà. Ed infine, uno degli sprazzi di più alta sceneggiatura dell’opera consiste nel cliffhanger conclusivo dell’episodio, relativo alla sconvolgente rivelazione di un Jefferson malato e sadico, un personaggio fin troppo “positivo” ed insospettabile per non essere coinvolto nei misteri di Arcadia Bay: le continue rassicurazioni che gli sviluppatori danno al giocatore (qualsiasi cosa accada, “ci pensi tu con il tuo potere”) ci tranquillizzano fin troppo, tant’è che era prevedibile che questo nostro potere sarebbe stato reso inutilizzabile in qualche occasione.
L’ultimo volo della farfalla
Nel quinto ed ultimo episodio, che è in pratica una lotta contro il tempo (in tutti i sensi), tutti i nodi vengono al pettine, e mentre l’apocalisse incombe, ci ritroviamo a pensare ad ogni cosa che abbiamo passato, ci accorgiamo quanto questa storia ci abbia cambiato l’anima mettendoci in una relazione di forte empatia con la protagonista Max, poiché in fondo, anche lei come noi, è cresciuta, ha imparato qualcosa.
Una caratteristica a proposito che ho particolarmente apprezzato della produzione sono i momenti catartici in cui ci si può fermare su una panchina o su una sedia a riflettere con in sottofondo musiche molto evocative, mentre il flusso di coscienza di Max lentamente viene fuori e ci porta a rimuginare sulle mille peripezie che abbiamo trascorso. L’ultima questione su cui voglio porre l’attenzione però è a proposito dei 2 finali, ai quali si arriva attraverso una sessione (onirica? allucinogena?) forse un po’ troppo diluita, ma che ci porta anche a rivivere tutti i momenti chiave della storia su cui stiamo per porre la parola Fine. E anche qui, il dilemma essenziale è questo: nonostante queste 2 conclusioni abbiano aspramente diviso critica e pubblico, in realtà non esiste un finale più giusto, non esiste un epilogo “migliore” rispetto all’altro.
Viene da pensare che gli sviluppatori ci spingano a fare la scelta di sacrificare la nostra migliore amica, perché in fondo tutto ciò che ci è successo è stato fatto per salvare Chloe: ci siamo impegnati con tutte le nostre forze, abbiamo cambiato la storia di Arcadia Bay, incasinato il tempo, tutto pur di salvare una singola e misera vita al confronto di un migliaio di altre, ma che per noi ha probabilmente un valore decisamente più elevato di tutte quelle esistenze messe insieme. Tuttavia, l’insegnamento forse più grande che Life Is Strange ha da offrirci è proprio questo: non è possibile cambiare il corso del tempo, non è possibile modificare il passato, anche se nella più surreale delle ipotesi possedessimo un potere che ci consenta di tornare indietro e rimediare ai nostri errori. Possiamo solo imparare da essi, costruire un futuro migliore, ma non è possibile vivere all’interno del nostro passato. Era dunque destino che Chloe morisse in quel bagno di quella scuola, e tutti i nostri sforzi per salvarla hanno solo portato a ulteriori stravolgimenti che poi hanno portato alle estreme conseguenze che possiamo vedere con i nostri occhi.
A volte, anche se difficile da accettare, bisogna lasciar andare una persona, poiché probabilmente è la scelta migliore, e Max dovrà imparare a convivere con la morte della sua migliore amica, anche se, in fin dei conti, il loro legame non si spezzerà mai, i loro ricordi non svaniranno mai. E questo è anche sottinteso nell’ultima scena, in cui la farfalla blu che ha dato inizio a tutto (che altro non è se non Chloe stessa) si posa un ultima volta sulla bara della ragazza, mentre Max si lascia andare ad un sorriso oserei dire contraddittorio, in equilibrio perfetto tra la più atroce malinconia e la più ottimistica speranza, consapevole che in un certo senso, Chloe sarà sempre con lei, e in qualche altra dimensione molto probabilmente sarà viva. Nel finale in cui si decide di salvare Chloe invece, che quasi si può considerare quello “buonista”, la conclusione che più si avvicina ad un “lieto fine”, se così si può definire, capiamo che è comunque una finzione, una scelta dettata dal puro egoismo, o meglio, è ciò che ogni giocatore di life is strange vorrebbe, ma che alla luce dei fatti è impossibile da realizzare.
In entrambi gli epiloghi infatti, bisogna sacrificare qualcosa per ottenere qualcos’altro, e inoltre non va dimenticato che anche l’aver salvato per l’ennesima volta Chloe potrebbe dar vita a nuove e inaspettate variabili nello spazio-tempo, in una sorta di circolo vizioso. Oltre a porre l’accento sulla simbologia che gli animali del posto assumono (gli scoiattoli per esempio rappresentano il giardinista Samuel, o il cervo-spettro Rachel stessa), voglio sottolineare che il personaggio di Chloe è probabilmente stato ispirato anche dal fumetto “il blu è un colore caldo” (di cui consiglio caldamente la lettura).
Potrei concludere questo editoriale dicendo che questo “gioco” sia stato per me un capolavoro, un’opera immensa e mastodontica, che mi ha fatto crescere e riflettere come pochi altri nel suo genere, ma sarebbero tutte parole a dir poco riduttive. Posso solo provare vagamente a descrivere come l’emozione e i brividi si siano insinuati dentro la mia più intima essenza, come le musiche, il mondo presentatoci dagli sviluppatori e i personaggi che lo popolano siano ormai saldamente scolpite nel mio cuore e nelle mia mente, anche grazie ad una regia monumentale: sono tutte sensazioni che a mio parere chiunque dovrebbe poter provare almeno una volta. È fondamentale non vittimizzarsi per ciò che abbiamo commesso, ma piuttosto andare avanti e prendere ciò che la nostra esistenza ha da darci, perché la vita è strana, è imprevedibile, è stronza, ma è anche meravigliosa, ed è per questo che vale la pena viverla fino in fondo.
“Max Caulfield… Don’t you forget about me.” Chloe Price, discorso finale.
PARTE SECONDA – COME UN FARO IN MEZZO ALLA TEMPESTA
“Suppongo che il suicida mentre appoggia alla tempia la canna della pistola provi per ciò che succederà l’attimo seguente quello che in quel momento provai io: un sentimento di curiosità”.
La curiosità, la curiosità per l’ignoto si lega così strettamente alla natura umana che H.G.Wells, nel suo fondamentale “La macchina del tempo” (1895), non poté fare a meno di sottolinearne l’importanza attraverso le parole del suo personaggio protagonista. Si parlava di viaggi nel tempo, una delle prime volte nella storia della cultura occidentale e, forse, per la prima volta riuscendo a scuotere a fondo gli animi dei lettori a riguardo di tali fantasticherie. Ciò che il viaggio nel tempo sembra esprimere al meglio, però, non riguarda esclusivamente la curiosità per l’ignoto, per il futuro, per il non visto.
Probabilmente ciò che chiunque di noi farebbe avendo a disposizione una macchina del tempo (escludendo ovviamente l’andare nel futuro per scoprire i numeri vincenti della lotteria) sarebbe piuttosto tornare indietro. Rimediare agli errori del passato, scegliere la strada giusta, cancellare ogni rimpianto con un semplice soffio e tornare accanto alle persone che nel bene e nel male abbiamo amato e non abbiamo mai smesso di amare. In qualche modo questa eredità è quella che il bis nipote del succitato H.G. Wells ha voluto portare avanti: il rapporto con l’amore. Nel film del 2002 “The Time Machine”, diretto da Simon Wells, è l’amore il movente che spinge il protagonista all’azione. Dinnanzi alla morte dell’amata promessa sposa lo scienziato, accecato da una sofferenza insuperabile, riesce a dar vita al suo progetto fantascientifico tornando così nel passato per cambiare le tristi sorti dell’adorata compagna. Ciò non risulta però possibile, nella mente dell’autore e nella trasposizione cinematografica del suo progetto, non si concede lo spazio per un effettiva modifica del passato. La gentile ragazza morirà, in qualsiasi percorso temporale essa venga a trovarsi. Si può cambiare allora il proprio e l’altrui destino? Lasciamo in sospeso questa domanda per il prosieguo e raggiungiamo le coste dell’Oregon per comprendere al meglio come il viaggio nel tempo si colleghi all’amore.
Life is Strange è un’opera magistrale, un percorso ricco di emozioni, forse un percorso basato esclusivamente su esse. Il plot teen-drama, il bullismo, il suicidio, per quanto siano temi di portata ed importanza fondamentale al giorno d’oggi non mi hanno colpito, come fruitore e uomo, forte quanto invece è stato in grado di fare l’amore. Perché bisogna essere sinceri dinnanzi all’amore, senza imbarazzo o vergogna, l’amore fra Maxine, la dolce protagonista, e Chloe, la ribelle dalla vita difficile, non fa che mostrarsi come l’archetipo d’un amore ideale e bellissimo.
Alla luce della viscerale unione che riesce ad attrarre le due protagoniste tutti gli altri aspetti dell’opera sembrano svanire, i suoi pregi, i suoi difetti, le sue innovative intuizioni, perfino i suoi viaggi nel tempo sembrano divenire un mero mezzo per raggiungere uno scopo.
“L’amore è una faro che fisso sovrasta la tempesta” (Shakespeare), e parlando del meraviglioso prodotto di Dontnod non si può aggirare l’importanza del faro. Perché a questo si riduce tutta l’esperienza del gioco, l’amore fra Maxine e Chloe (amore che non importa capire se di natura sensuale o esclusivamente amicale) è ciò che guida e il giocatore durante la sua esperienza e la protagonista nelle sue vicissitudini. La tempesta è pronta a giungere, e l’unica ancora di salvezza fra i mostruosi e vorticosi flutti rimane il faro, irsuto e silenzioso nel suo sguardo di luce, allo stesso tempo protetto e protettore. Chloe altro non è che il faro di Maxine nella sua vita fuggiasca ed errabonda, e Maxine, o come preferisce farsi chiamare: Max, altro non è che il faro nella vita disastrata di Chloe. Infatti a ciò si può ricondurre la metafora, non così celata nel testo ma forse proprio per questa sua luminosità rassicurante, della tempesta che sta per sconvolgere la “quieta” Arcadia Bay.
La tempesta altro non è che la tempesta che ogni persona è costretta ad affrontare, la vita, con i suoi alti e bassi, con il suo non senso, con la sua forza peculiare di trascinare via ogni cosa e lasciare l’uomo, o la ragazza diciottenne, inerme ed indifeso alla sua mercé. Così i sogni delle due ragazzine Best Friend Forever di restare unite per sempre e conquistare il mondo non possono che urtare contro la tempesta dell’esistenza. Divise e colpite dalla vita, trascinate nel disincanto e nella disillusione le due giovani donne restano atrocemente in balia degli eventi fin quando non tornano a riflettersi l’una negli occhi dell’altra. Fin quando la luce del faro non torna ad indicare il luogo sicuro in cui potersi rifugiare per scampare all’annichilimento.
Seguendo questo Leitmotiv risulta allora comprensibile perché e con quale ostinazione la delicata Max faccia di tutto, sconvolgendo anche ogni equilibrio naturale, pur di non lasciar svanire nella tempesta il suo amato faro. Nelle fasi conclusive del gioco si arriva a comprendere come tutti gli eventi straordinari accaduti durante la folle settimana dell’accademia Blackwell non siano da ricondurre ad altro che all’intromissione di Maxine nel flusso spazio temporale al solo scopo di salvare l’amica di sempre.
Ma poi, come questo potere si è effettivamente creato ed espresso? La trama esplicita non fa altro che dirci che il potere di modificare il tempo sorge quasi naturalmente nell’agognato incontro fra le due vecchie amiche. Un sottofondo di mitologia dei popoli autoctoni dell’America accompagna tutta la narrazione, con totem, terreni sacri e animali guida, ma nulla sembra spiegare perché e come la protagonista ottenga tale potere. Ciò che, personalmente, ho reputato un’ipotesi perseguibile è quella che in realtà, questo potere, non esista. Il potere di riavvolgere il tempo si situa ad un livello meta narrativo diretto quasi esclusivamente al giocatore, concedendogli la possibilità di analizzare metaforicamente il messaggio che l’opera cerca di propugnare. Allora la domanda che era stata posta all’inizio di questa analisi si ripropone: è possibile alterare il passato?
Ciò che Dontnod ci dice è che ciò non è possibile. Tutte le azioni fatte, con le loro catastrofiche reazioni, conducono esclusivamente ad un punto specifico: la morte di Chloe. Sembrerebbe quasi che la storia voglia prendere due strade separate, la strada reale e la strada finzionale. La prima, quella dinnanzi a cui il romantico distoglie lo sguardo, non fa altro che dirci che le nostre scelte hanno valore e che l’esistenza non offre alcuna seconda chance. Non possiamo salvare Kate dal suo triste proposito se sono state perseguite alcune strade. Non si può salvare Chloe perché è destinata a morire per le sue proprie scelte. Dall’altra parte abbiamo la strada della finzione, quella che ci dice che è possibile distruggere una città con il nostro potere, viaggiare nel passato di cinque anni, lasciarsi dietro la più pura devastazione pur di salvare il nostro amore.
Così le persone, più ancora che i giocatori, sono chiamati ad affermare il loro approccio alla vita nella fasi conclusive dell’avventura: essere razionali, realisti, lasciare che tutto ciò che è stato compiuto venga trascinato via come sabbia nel vento ed il nostro amore, per quanto fondamentale per la sussistenza nella tempesta della vita, finisca come era destinata a finire; oppure essere irrazionali, sognatori, e veder il mondo bruciare con la sua fisica, la sua realtà, i suoi stati di possibilità, e salvare a costo di tutto quell’incarnazione esterna della propria anima, dirigendosi verso un futuro incerto ma pur sempre illuminato dalla luce di un faro.
Ciò che ho scelto io è facilmente intuibile per coloro che mi hanno seguito fino a questo punto, raramente mi sono sentito così gioioso come nel vedere le mie protagoniste stringersi le mani e promettersi eterna presenza. E che il resto del mondo, il mondo reale, bruci pure.
“L’ uomo che vive con animo sereno è paragonato a coloro che, al sicuro sulla terraferma, osservano distaccati il mare in tempesta” (Epicuro).

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