Quando si pensa alla propria infanzia, i cassetti della memoria si spalancano e i nostri cinque sensi sono tutti impegnati in questo sforzo, bellissimo sforzo, mnemonico. Il tatto per noi gamer è uno dei sensi più stimolati, infatti, la nostra memoria non può prescindere dal ricordo del primo joystick impugnato da mani inesperte e smaniose di liberare il castello o di uccidere il cattivone di turno. Infanzia e videogiochi sono uniti da un solo nome, un ”marchio” inconfondibile: Disney. I videogiochi Disney, infatti, non erano solo semplici trasposizioni videoludiche, ma rappresentavano un’occasione più unica che rara per noi bimbetti di poter vivere le fantastiche avventure dei primi idoli della nostra vita.
Oggi siamo abituati a tie-in (videogiochi su licenza) che nel 90% dei casi risultano essere mere speculazioni economiche ai danni dei fans sfegatati dei film riprodotti in chiave videoludica o dei creduloni che ancora sperano in un uso intelligente di queste licenze. All’epoca, invece, i videogiochi tratti dai film di animazione, i quali ci distoglievano dai compiti, forse anche più dei giochi stessi, erano fatti davvero bene. Le cutscene spesso riprendevano pari pari le sequenze dei film originali; i personaggi, principali e non, erano ricreati in maniera certosina con modelli poligonali (al netto delle eventuali scarse capacità degli harware) che avevano poco da invidiare ai disegni originali; gli ambienti di gioco, il contesto, l’atmosfera che si respirava facevano sì che noi giovani avventurieri potessimo diventare, in un batter di ciglio, il figlio del re della foresta o un eroe greco pronto a sfidare gli dei (prima che con Kratos diventasse mainstream). In questo articolo voglio soffermarmi sui titoli usciti su Playstation che maggiormente hanno forgiato le mie abilità da videogiocatore (per carità, abilità non sovrumane).
Videogiochi Disney: un urlo squarcia la fitta foresta
Tarzan è forse quello che più ho adorato tra i videogiochi Disney, un platform coloratissimo e con meccaniche di gioco precise e, allo stesso tempo, con pochi fronzoli. Tarzan riprendeva i classici platform bidimensionali in cui i tasti da schiacciare erano perlopiù due: salto e attacco. Per divertirsi non c’era certo bisogno di altro. Il film d’animazione fu diretto nel 1999 ed era tratto dalla serie di racconti di Burroughs. Il videogioco uscì in Europa il primo novembre dello stesso anno e fu sviluppato da Eurocom, mentre la pubblicazione fu ad opera di Sony. Tarzan si dispiegava in tredici livelli, tra fiumi da attraversare saltando sulla schiena di paffuti ippopotami e liane da prendere al volo onde evitare una prematura dipartita. All’inizio del gioco avevamo a disposizione solo tre vite, le quali potevano essere aumentate raccogliendo cento monete. Insomma, i cliché classici dei platform inseriti nell’universo di Tarzan.
Nei primi livelli si guidava un giovane Tarzan, ma proprio come nel film, in cui il bambino cresciuto nella foresta diventava poi un uomo, anche nel gioco nei livelli successivi il protagonista diventava adulto. Non che questo modificasse il gameplay, ma era una caratteristica che faceva piacere vedere. La foresta è piena di pericoli e come ci si poteva difendere? In due modi. L’attacco ravvicinato era permesso grazie all’uso del coltello, mentre gli attacchi a distanza erano possibili grazie ai frutti da raccogliere nei vari livelli. I frutti, oltretutto, erano di diverso colore, ogni colore aveva una peculiarità. Questo dava un certo senso strategico alle sezioni di combattimento. I frutti verdi erano illimitati ed erano efficaci contro tutti i nemici, ma non erano certo potentissimi. I frutti viola eliminavano la minaccia in un sol colpo, quelli blu facevano piazza pulita dei nemici presenti su schermo.
Alcuni livelli rimangono ancora indelebili nella memoria: il livello quattro che ci vedeva impegnati in una fuga da elefanti imbizzariti. Carinissimi, dolci e… maledetti elefanti! Quel livello fu in grado di far assaporare il gusto della paura a noi bimbetti; e che dire del livello 12, quello prima del boss finale Clayton? Difficile, perché i videogiochi Disney non erano certo giochi da babbei, con nemici a ogni angolo e frutta da lanciare come forsennati per uscirne indenni. In conclusione, Tarzan era davvero uno spettacolo. Giocarci oggi diverte come la prima volta.
Videogiochi Disney: dall’Antica Grecia con furore
Hercules è probabilmente uno dei primi esempi che vengono in mente quando si devono elencare e consigliare videogiochi tratti da film d’animazione della Disney. Hercules (da non confondere con Herc’s Adventures) ci catapulta nella mitologia greca con umorismo e una bella dose di improperi da lanciare verso gli dei antichi. Alcune sezioni di gioco ti facevano desiderare di spaccare il disco, ma poi ti rendevi conto che un gioco così bello difficilmente lo avresti trovato. Il film d’animazione uscì nelle sale nel 1997 e prendeva in considerazione soprattutto una delle dodici fatiche di Ercole, la Gigantomachia. Il videogioco fu pubblicato da Eurocom (un sentito grazie a questa software house britannica, ormai defunta) nello stesso anno e fu distribuito da Disney Interactive Studios.
Hercules poteva vantare il doppiaggio originale del film (Veronica Pivetti per Megara e Raoul Bova per l’eroe greco) e, come di consueto per questo tipo di produzioni, le sequenze del film d’animazione come cutscenes. Hercules era in sostanza un platform con elementi da picchiaduro a scorrimento, infatti, con la nostra fidata spada potevamo fare a brandelli i nostri nemici. Non era inusuale trovarsi poi di fronte a degli enigmi, perlopiù ambientali. Ambienti colorati e ispirati alla mitologia classica, una colonna sonora magnifica e uno stile grafico quasi indistinguibile dal cartone facevano di questo gioco una vera chicca per chiunque volesse immergersi nell’atmosfera sbarazzina del lungometraggio Disney.
Le creature mitologiche come boss di fine livello erano poi uno spettacolo per gli occhi e offrivano una buona sfida. Medusa, l’Idra e i ciclopi erano solo alcuni di quei mostri che abbiamo imparato a conoscere e ad amare, anche grazie a God of War. Hercules era il God of War per bambini? Forse sarebbe ingeneroso dargli questo appellativo, ma senza dubbio è stato propedeutico ai nostri futuri massacri olimpici.
Videogiochi Disney: la fantasia vola come un tappeto volante
Con Aladdin – La Vendetta di Nasira, ci troviamo davanti a qualcosa di diverso rispetto agli altri videogiochi Disney usciti su Playstation. Il titolo sviluppato da Argonaut Games nel 2000, in primo luogo, narra una storia diversa da quella dei film d’animazione, infatti, gli eventi si susseguono in un periodo successivo a Il ritorno di Jafar e precedente ad Aladdin – Il re del ladri; in secondo luogo, La vendetta di Nasira era un videogioco molto più “completo” e complesso nel gameplay. Non un semplice platform con qualche scramuccia da risolvere a suon di pugni o facendo scintillare la spada, ma un action in piena regola.
Il mondo in cui ci si muoveva era in tre dimensioni e gli obiettivi dei vari livelli non si limitavano all’andare dal punto di partenza a quello di arrivo, ma obbligavano ad attraversare gli scenari (dalla città di Agrabah al palazzo del sultano, da oasi infestate da serpenti velenosi a prigioni sotterranee) alla ricerca di oggetti chiave per aprirsi la strada verso nuove sezioni di gioco. In Aladdin – La vendetta di Nasira era possibile anche guidare, in alcuni livelli, la scimmietta Abu sfruttando caratteristiche completamente diverse da quelle del giovane e simpatico ladro, e Jasmine. La principessa era del tutto inadatta al combattimento, quindi, nei suoi livelli era possibile avanzare solo adottando dinamiche stealth (non perfette, ma ci può stare).
Divertenti i livelli bonus proposti dal Genio, alla fine dei livelli della storyline principale, e sbloccabili dai gettoni nascosti negli scenari. Da menzionare poi alcune chicche particolari nel gameplay, come quella di potersi avvicinare con fare furtivo ai mercanti addormentati per rubare le mele da utilizzare come arma da lancio. Un gioco eccezionale in tutti i suoi aspetti, una vera perla.
Videogiochi Disney: il ruggito della vittoria
C’è da fare una premessa: Il Re Leone – La grande avventura di Simba (Simba’s Mighty Adventure) è il videogioco Disney che meno ha colpito la mia fantasia di bambino. Questo è dovuto probabilmente al fatto che il gioco riprende solo in parte il primo film d’animazione, circa tre-quattro dei nove livelli totali, mentre il resto si riallaccia al secondo film (che, ammetto, non vidi quando uscì, né ho visto finora), perdendo, dunque, un po’ di magia.
Il titolo sviluppato nel 2000 da Activision era un platform bidimensionale in cui il piccolo Simba (come in Tarzan, durante il gioco il protagonista crescerà) doveva farsi strada tra le famigerate iene del cartone (simpatiche dopotutto) fino ad arrivare a Scar, prima, e a Zira poi. Simba poteva camminare o correre ed eliminare i nemici con il proprio ruggito. Anche in questo titolo trovavamo livelli di fuga da animali imbizzarriti, livelli che già in tenere età mettevano a dura prova la nostra pazienza. Nonostante lo abbia amato meno rispetto agli altri videogiochi Disney, rimane sempre un titolo a cui tengo tantissimo. L’infanzia è fatta anche di piccole delusioni e passi falsi, d’altronde.
Restauro o lasciare tutto invariato?
Un nostalgico non può non riflettere sul fatto che i videogiochi Disney appena ricordati sarebbero perfetti per delle versioni rimasterizzate. Invece di rimasterizzare giochi di due anni fa, sarebbe forse il caso farlo con titoli di questo calibro per due motivi: il primo è cronologico, un gioco di venti anni fa mostrerebbe con più forza la differenza tecnica che passa tra due generazioni di console; il secondo, appunto, è nostalgico. La lacrimuccia scenderebbe con più facilità dalla guancia di un gamer all’annuncio di Resident Evil 6 HD o a quello dei videogiochi che hanno segnato la nostra infanzia, tra cui, per l’appunto, i videogiochi Disney?
Però, a mente fredda si potrebbe anche pensare che questi giochi, con una risoluzione a 1080p, non riuscirebbero a regalare le stesse emozioni che hanno saputo infondere nei cuori di giovani bambini. Bambini che oggi sono diventati adulti, adulti che, in fondo, grazie ai videogiochi sono ancora un po’ bambini.

Lascia una risposta