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Siege: un Rainbow Six che non è un vero Rainbow Six

In questo periodo, fra i giochi più attesi e discussi, vi è di sicuro il nuovo capitolo di Rainbow Six.
L’annuncio di Ubisoft, riguardo alla mancanza di una componente single player all’interno del titolo, ha letteralmente spaccato in due il pubblico: da una parte i fan storici della saga, che rimproverano alla casa di sviluppo di aver totalmente stravolto un brand consolidato e di successo, dall’altra i neofiti del genere e tutti coloro più aperti alle “innovazioni”, il cui pensiero cardine è “non serve per forza il single player, per tirare fuori un buon titolo”.
Entrambi gli schieramenti hanno le proprie ragioni, ma soffermiamoci un momento per capire davvero cos’è Rainbow Six.

Rainbow Six nasce nel 1998, in contemporanea con l’uscita dell’omonimo romanzo di Tom Clancy (un vero e proprio must per tutti gli appassionati di fantapolitica), ed ebbe un enorme successo per l’epoca, dovuto principalmente al fatto che per la prima volta in un FPS, non bisognasse solo sparare a tutto ciò che si parava davanti, in più il gioco aggiungeva 2 componenti fondamentali, che avrebbero influenzato il mondo dei videogiochi di lì in poi, caratterizzando quasi tutti gli FPS odierni: il feeling di ogni singola bocca da fuoco e la pianificazione dell’azione.
Il primo punto in esame, ossia le armi, rappresentava uno degli aspetti peculiari della serie, non era detto infatti, che l’arma che causava il maggior danno possibile, fosse anche la più indicata per ogni tipo di situazione: gittata, stabilità, precisione, per la prima volta un videogioco teneva conto di tutto questo e costringeva il giocatore a scegliere di volta in volta, per ogni singolo personaggio, l’arma più indicata in ogni singola missione.

Il secondo aspetto, non per importanza, è la pianificazione: In Rainbow Six, la componente tattico/strategica ha sempre fatto da padrone, a tal punto che l’elemento FPS finiva sempre per divenire un contorno talmente trascurabile, cosa che rendeva possibile persino mandare i propri uomini in automatico, seguendo il piano prestabilito, senza giocare direttamente, aspetto che è andato parecchio a scemare con i due capitoli di Vegas, che privilegia la pura azione, a scapito della pianificazione laboriosa e meticolosa.

Tali meccaniche hanno comunque ispirato, in tutto o solo in parte, la stragrande maggioranza degli FPS moderni ed è qui che cade il concept di Siege. Siege promette di riproporre online l’azione tattica vista nei capitoli precedenti, rendendo il tutto molto più frenetico. L’idea di fondo di questo ultimo capitolo, non sarebbe nemmeno cattiva, se non fosse per un singolo particolare: l’online.

Giocare online, per quanto una squadra possa essere coesa e affiatata (cosa che comunque accade di rado), non renderà mai la stessa sensazione dei vecchi capitoli, tanto più che questo nuovo titolo, sembra un miscuglio di vari FPS di successo: un po’ di SWAT, un pizzico di Battlefield, una spolverata di Call of Duty ed ecco a voi Rainbow Six: Siege, un gioco fin troppo frenetico per il suo genere, un gioco che non è affatto brutto, ma che rappresenta qualcosa di nuovo e di diverso da quello che è Rainbow Six e al quale, per paura forse che non potesse vendere abbastanza, è stato dato un nome che dai più viene considerato una garanzia, ma con il quale non condivide niente…

Marco Battiato
Laureato in Agraria, sommelier e appassionato di videogiochi dall’età di 5 anni.
I suoi generi preferiti sono FPS, giochi di guida e action-adventure.

Marco Battiato
Laureato in Agraria, sommelier e appassionato di videogiochi dall'età di 5 anni. I suoi generi preferiti sono FPS, giochi di guida e action-adventure.

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