Attenzione! Questo video contiene una forte rappresentazione del tema del suicidio.
Prima di tutto, voglio essere sincero con voi: The Hedgehog, il corto che abbiamo messo in apertura di articolo, è probabilmente uno dei migliori cortometraggi degli ultimi anni. Un piccolo capolavoro come questo, pur con la totale assenza di dialogo, è riuscito a trattare un tema molto complesso, come la Sindrome di Peter Pan, ovvero il rifiuto di voler diventare adulti.
Quello che, sinceramente, non riesco a comprendere appieno, o forse, in quanto videogiocatore, non riesco a “digerire”, è la presenza di Sonic nel ruolo di “protagonista”. Dal momento in cui sono arrivato ai titoli di coda, ho una domanda che mi rimbomba nella testa:
Cosa ci fa Sonic The Hedgehog in un corto sui suicidi?
Analizziamo le cose con calma: nonostante la presenza dell’iconica mascotte SEGA balzi subito all’occhio, il vero protagonista della vicenda non è Sonic, ma un ragazzino che indossa il suo costume. In base a quello che hanno dichiarato Chris Lee e Paul Storrie, i due autori del corto, in una recente intervista, la scelta è caduta sul porcospino più veloce del mondo dei videogiochi perché:
“Sonic è un’icona del mondo dei videogames. Dal momento che i ragazzini amano riprodurre le gesta dei loro personaggi videoludici preferiti, abbiamo creato l’immagine di un ragazzo, uno un po’ troppo cresciuto per cose del genere, vestito con un costume blu fatto in casa. Insieme all’altro uomo presente nel corto, che ha qualche somiglianza con il Dottor Robotnik, la nemesi di Sonic, abbiamo voluto creare un’avventura per il ragazzo protagonista, nel suo mondo completamente vuoto”.
Un altro aspetto interessante è che, nonostante il corto sia caratterizzato da continui richiami al mondo dei videogiochi, non è presente nessuno che gioca ai videogames. Ma in base a quanto è possibile leggere nell’intervista, i registi del corto hanno un passato da gamer:
“Essendo degli avidi videogiocatori, la materia dell’ossessione videoludica ci ha sempre molto affascinato, in particolare per quanto riguarda gli effetti sui più giovani. Nel momento in cui ci stavamo approfondendo sull’argomento, ci siamo imbattuti nella Sindrome di Peter Pan, che si basa sul rifiuto di voler crescere, di non voler entrare nel mondo degli adulti, con tutte le sue responsabilità, di voler sfuggire allo scorrere del tempo, rifugiandosi su una sorta di Isola Che non C’è”.
Senza ombra di dubbio, i due autori hanno esaminato il problema in maniera molto ma molto approfondita, ma ancora non riesco a togliermi una domanda dalla testa:
Perché usare Sonic The Hedgehog in un corto sui suicidi?
O meglio, perché utilizzare i videogames più in generale per trattare un tema così spinoso, così drammatico e, soprattutto così triste? Ecco la risposta di Storrie e Lee:
“Quando giochiamo ai videogiochi, il tempo si ferma. Abbiamo la possibilità di esplorare mondi virtuali, dove tutto è strutturato. Se muori nel gioco, puoi ricominciare dall’inizio. Queste idee hanno dato vita al nostro personaggio, il nostro ragazzo sperduto, che vuole essere Sonic The Hedgehog e vivere in un mondo in cui può rimanere giovane per sempre […] Volevamo creare un mondo fortemente caratterizzato. La scelta di non includere dialoghi nel film è stata estremamente importante, ha fatto in modo che fosse l’ambiente circostante a parlare. L’ambientazione doveva sembrare qualcosa di appartenente ad un altro mondo, isolato, minimale e stagnante, proprio come nei videogiochi“.
“È stato interessante vedere come abbiamo potuto comunicare l’ossessione da videogame, senza che effettivamente ci fosse qualcuno intento a giocare. Nonostante confidassimo nel fatto che il pubblico riconoscesse Sonic The Hedgehog, creando una connessione istantanea con il mondo dei videogiochi, per noi era importante che il film lavorasse su un livello emozionale anche prescindendo dall’effettiva conoscenza del personaggio videoludico”.
Chiariamo subito una cosa: Paul Storrie e Chris Lee non hanno voluto buttare fango sul mondo dei videogiochi attraverso questo loro cortometraggio, che, però, non può non far sorgere qualche domanda a chi, come me (e come noi), è molto legato a quello che è l’immaginario videoludico.
E voglio essere ancora più sincero: il film mi ha disturbato non poco, è probabilmente il cortometraggio più triste, sconvolgente e malinconico che io abbia mai visto, ed il fatto che riguardi una mia (una nostra) passione lo rende ancora più incisivo di quanto già non sia. Ma proprio per questo mi chiedo: perché scegliere il videogioco come medium?
Nonostante il gaming sia un fenomeno in grandissima espansione, è veramente il responsabile principale della Sindrome di Peter Pan? Cosa ha a che fare un mondo colorato, fantasioso, allegro, e potenzialmente privo di limiti, come quello dei videogiochi, con la tragedia umana rappresentata? Nonostante i due registi non intendano buttare fango sul mondo videoludico (anche perché il fango sui videogiochi veramente non manca mai), il cortometraggio, anche grazie al suo fortissimo impatto visivo, potrebbe essere facilmente frainteso, fornendo un ulteriore appiglio alle sempre più presenti critiche dell’ intellighenzia italiota e non.
Proprio per questa ragione, siccome, sinceramente, io non riesco a darmi una risposta che sia convincente, rispondetemi voi:
Era veramente necessario tirare in ballo i videogiochi?

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